Lasciare essere: contro la tirannia della produttività emotiva
C'è una frase di Jenny Odell (artista, scrittrice ed educatrice americana) che, come un sasso nello stagno, smuove le acque agitate della nostra società iper-performativa:
"La capacità di non fare nulla non è una perdita di tempo; è un'abilità rara."
In un'epoca in cui tutto, persino le emozioni, viene ottimizzato, reso performante, narrato e trasformato in contenuto, questa frase suona come una carezza e uno schiaffo insieme. La produttività emotiva è diventata la nuova frontiera dell’efficienza: non basta più sentire, bisogna anche fare qualcosa con quello che si sente.
Quando anche la guarigione diventa un progetto
Lavorare su sé stessi, migliorarsi, crescere interiormente: tutte cose che, a piccole dosi, fanno bene. Ma quando il percorso emotivo diventa una gara silenziosa contro il tempo, contro il dolore, contro il “restare fermi”, allora rischia di trasformarsi in un altro lavoro, un’altra cosa da fare “bene”.
La salute emotiva non è la stessa cosa della produttività emotiva.
La salute include il riposo.
Include il gioco.
Include il piangere senza sapere perché e il ridere senza doverlo chiamare “risata terapeutica”.
Include l’esistere senza dover rendere ogni emozione utile o significativa.
Viviamo in una cultura che ci ha insegnato che ogni disagio è un nemico da affrontare con strumenti, parole, strategie. Così si tiene un diario per monitorare i pensieri, si dà un nome ai “trigger”, si ascoltano podcast sul benessere durante la spesa. Ogni lacrima diventa un segnale da interpretare, ogni giornata storta un’occasione di crescita. Ma questa iper-analisi, alla lunga, stanca.
Più cerchi di “superare” il disagio, meno riesci a conviverci.
Più cerchi un significato, meno riesci a sentire davvero.
La crescita che nasce dalla paura di restare gli stessi non è crescita, è panico travestito da consapevolezza.
C’è un’enorme differenza tra voler guarire e voler controllare tutto.
C’è una forma di guarigione silenziosa, quotidiana, che non si misura in progressi o riflessioni condivisibili su Instagram. È quella che succede mentre cammini senza meta, cucini una pasta ascoltando musica, guardi un film senza trarne una lezione.
La libertà di sentire senza dover trasformare
Il dolore, a volte, va solo vissuto. Non capita per insegnarci qualcosa. Non è un messaggio cifrato da decodificare. È solo una parte del nostro essere vivi. E viverlo non significa sprofondare, ma riconoscere che c’è e che può esistere insieme alle piccole cose che ci fanno stare bene.
Invece di chiederci costantemente quanto stiamo crescendo, possiamo iniziare a chiederci: sto respirando? sto vivendo? sto ascoltando ciò che sento, senza giudicarlo?
Non siamo progetti in costante ristrutturazione. Siamo esseri umani. E, a volte, il più grande atto di coraggio è non fare nulla. Lasciare che tutto sia, così com'è. E scoprire che va bene lo stesso.
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