Ciò che ho imparato: la verità del cambiamento tra aspettative e realtà

 

Nel mio lavoro, ho avuto il privilegio di osservare da vicino un desiderio comune, una spinta profonda che anima molte persone: quella di modificare qualcosa nella propria vita. C'è chi cerca una maggiore serenità nel quotidiano, chi aspira a una gioia più autentica, o chi è alla ricerca di quel senso più profondo che sembra sfuggire. Spesso, questo desiderio di cambiamento porta con sé una speranza, quasi una richiesta che non viene resa esplicita: "Vorrei che qualcuno mi aiutasse a sistemare ciò che non funziona, che mi desse la soluzione definitiva."

È una richiesta comprensibile, figlia della ricerca di risoluzione rapida che la nostra epoca sembra promettere per quasi ogni cosa. Si tende a immaginare che esista una formula segreta, una "chiave universale" in grado di sbloccare la felicità o di fare sparire le difficoltà. E così, ci si avvicina con l'aspettativa di trovare una figura capace di "aggiustare" ciò che appare rotto.

Ma l'esperienza, maturata seduta dopo seduta, rivela una verità diversa: nessuno può aggiustare nulla dall'esterno. Quella spinta autentica, il "come" e il "quando" intraprendere il cammino del cambiamento, è custodita dentro la persona stessa.

Il ruolo che mi trovo a ricoprire in questo delicato processo non è quello di dispensare risposte preconfezionate o soluzioni calate dall'alto. Piuttosto, è quello di offrire una mano per trovare le chiavi che aprono l'accesso a quella parte interiore depositaria di tutte le risorse necessarie. Si tratta di fornire un sostegno costante, di condividere conoscenze sul complesso funzionamento della mente e delle emozioni, di proporre strategie e, con un approccio pratico tipico dell'educatrice, strumenti mirati che aiutino a comprendere meglio il proprio mondo interno e a prendersene cura.

Si può essere una guida nella nebbia, indicare possibili direzioni quando il cammino sembra bloccato e rappresentare una spalla su cui appoggiarsi nei momenti di crisi, un orecchio capace di accogliere sfoghi e riflessioni senza alcun giudizio. Tuttavia, c'è un limite, un confine che non si può e non si deve mai oltrepassare: compiere il viaggio al posto di qualcun altro.

Non si puo’ compiere il viaggio al posto di qualcun altro

Questo è forse il punto più essenziale da comprendere appieno. È un viaggio che, a volte, comporta l'attraversamento di vere e proprie crisi, che costringe a confrontarsi con aspetti di sé inattesi o, all'inizio, persino sgraditi.

Ci saranno momenti in cui il desiderio di abbandonare tutto sarà così forte da rendere arduo persino presentarsi all'appuntamento successivo o completare quegli esercizi che sembravano così semplici. Spesso si vorrebbe raggiungere il traguardo in un batter d'occhio, con la speranza, quasi ingenua, che la trasformazione avvenga per pura magia, senza fatica. E così, meditazioni, esercizi di scrittura, riflessioni da portare a casa, finiscono per essere messi da parte.

Ma il punto è questo: non si può cambiare senza un desiderio autentico di farlo. Anzi, proprio quando i primi veri segnali di cambiamento affiorano, o quando le inevitabili difficoltà del processo si manifestano, si attivano quelle che definisco le forze di sabotaggio interne. Voci sottili iniziano a insinuarsi: "Non serve a niente", "Non c'è soluzione", "Non è per te...", "Non cambierà mai nulla...", "Sei fatto così e rimarrai così".

Queste sono le "sirene ammaliatrici" del cambiamento, quelle che tentano di distogliere dal proprio intento. Il ruolo di chi accompagna, in quei momenti, è anche quello di essere il custode di queste voci, per aiutare a riconoscerle, a non concedere loro potere, per sostenere e infondere motivazione, soprattutto nei momenti di maggiore crisi. Perché è proprio da quelle crisi che si può risorgere. Il viaggio è personale, e la forza per affrontarlo è già lì, dentro.

C’è una differenza tra salvare e aiutare

A questo punto una riflessione è davvero importante: c’è una differenza sottile ma fondamentale tra salvare e aiutare.

Salvare presuppone una posizione di superiorità, di intervento eroico. È il gesto di chi si cala nella situazione dell’altro con l’illusione – o il desiderio – di toglierlo dal dolore, risolvergli il problema, portarlo in salvo. Ma così facendo, si rischia di togliere "potere" all’altro. Si rischia di alimentare una dipendenza, di rinforzare l’idea che da soli non ce la si può fare. Salvare, spesso inconsapevolmente, soddisfa più il bisogno di chi salva – di sentirsi utile, indispensabile, forte – che quello di chi chiede aiuto.

Aiutare, invece, è un atto più umile e silenzioso. È mettersi accanto, non davanti. È offrire strumenti, visioni, presenza, ma lasciare che l’altro li faccia propri. Aiutare è rispettare i tempi, i modi, i silenzi. È accettare di non avere sempre la risposta, ma di esserci comunque. È sostenere senza dirigere. Accompagnare senza sostituirsi.

In questo senso, il vero aiuto è profondamente trasformativo: non perché cambia l’altro, ma perché gli restituisce la fiducia nel potersi cambiare da sé.


Stefania

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Per info: scasadei154@gmail.com


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